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Internet ha cambiato il mondo?

Internet-ha-cambiato-il-mondo
Prima di tutto, ti avverto: questo post è un’analisi critica di un articolo di un altro autore, arrivare in fondo ti costerà qualche minuto ma, se ti interessa l’argomento, vale la pena leggere tutto il mio post.

“Nel mondo sta accadendo qualcosa di straordinario, ma molte persone non se ne sono accorte” è il titolo di un articolo apparso su Huffington Post il 18 dicembre 2015, tradotto dall’originale inglese apparso due giorni prima.

Detto questo, Internet ha veramente cambiato il mondo?

Gustavo Tanaka, autore del post, indica otto elementi che lo inducono a credere che Internet abbia prodotto grandi cambiamenti nel mondo. Fin qui potremmo anche essere d’accordo.

Intanto vediamo di capire chi è il signor Tanaka. Premetto che non conosco il portoghese e solo grazie a Google Translate ho potuto farmi un’idea di chi sia l’autore del post. È un imprenditore brasiliano, co-fondatore di un portale orizzontale (o generalista) che parla di alimentazione, fitness, gastronomia, natura.

Adesso ti illustro il mio punto di vista.

Io sono d’accordo con Tanaka: Internet influisce sulle nostre scelte quotidiane, personali e professionali.

Tuttavia, quando usiamo il termine “noi”, dobbiamo sempre ricordare che non stiamo parlando dei sette miliardi e mezzo di persone che popolano il nostro pianeta.

È questa generalizzazione che mi fa saltare la mosca al naso.

Repubblica.it il 23 settembre 2015 riporta:

“Internet non è per tutti, mancati gli obiettivi 2015: 4 miliardi di persone tagliate fuori, donne penalizzate. L’ultimo rapporto della Commissione congiunta Unesco e Itu ((International Telecommunication Union) traccia un bilancio mortificante: il 57% della popolazione mondiale non ha accesso alla rete..” (1)

Un paio di giorni più tardi Wired.it aggiunge:

“Stiamo quindi assistendo alla crescita di un mondo ulteriormente suddiviso dal digital divide, … tenendo conto anche degli aspetti linguistici: oggi sul web sono trasposte, in parti disomogenee, solo il 5% dei 7.100 idiomi esistenti. È ovvio che non potranno essere create risorse per ognuna delle lingue usate sul pianeta, ma il 5% tende a escludere fette consistente di popolazioni.” (2)

Già nel 2014, il rapporto del World Economic Forum, indicava che il Digital Divide era peggiorato. Riporto solo pochi dati:

“Gli Stati Uniti hanno guadagnato 2 posizioni quest’anno (2014), mentre Hong Kong è sceso di 6 posti … Il Regno Unito ha perso 2 posti … nel mondo in via di sviluppo la Cina ha perso 4 posti scendendo al nr. 62, il Brasile ha perso 9 posizioni scendendo al 69° posto…” (3)

Ora, proprio mentre il Brasile perdeva posizioni nel 2014, il nostro signor Tanaka, probabilmente era già intento a progettare la sua startup e per questo merita il mio elogio.

Allora questo Internet a cosa serve? Ci ha cambiato veramente la vita?

Vediamo gli 8 punti del suo articolo su Huffington Post.

1. C’è sempre meno tolleranza verso l’attuale modello d’impiego.

È vero ma, come ricorda Tanaka, questo avviene principalmente per le grandi imprese, le corporations, le multinazionali, le aziende con centinaia (e migliaia) di dipendenti.

Il modello di impiego è obsoleto, però è anche vero che molte persone sono gratificate dal proprio lavoro, altre lo fanno, non da oggi, direttamente da casa con il computer o il telefono. Però è anche vero che ci sono ancora milioni di persone, le quali, nelle mega aziende ci stanno bene perché hanno deciso che quella è la loro vita e accettano lati positivi e negativi della faccenda, perché oggigiorno cambiare vita e aprire una startup o diventare nomade digitale, non è da tutti. Non tutti hanno il coraggio per cambiare la propria esistenza, ci sono famiglie intere che dipendono da uno o due salari e culture che sembrano esistere con lo scopo di perpetuare l’idea del posto fisso. Perciò l’attuale modello di impiego è superato, sono quasi d’accordo, ma come lo spieghiamo a Walmart, Philip Morris, Toyota, Microsoft, Sony, eccetera? Esistono modelli organizzativi adatti a milioni di persone che non pensano proprio a diventare imprenditori. Oppure Tanaka sogna di cambiare il mondo e trasformare la razza umana in sette miliardi di partite Iva?

2. Il modello imprenditoriale sta cambiando.

Anche questo è condivisibile: il modello di impresa che ha come unico obiettivo il denaro non funziona più: le persone (non tutte) vogliono essere gratificate per ciò che fanno e, alcune, guadagnare anche qualcosa in meno pur di essere apprezzate sul posto di lavoro.

Però è anche vero che “un certo tipo di cultura imprenditoriale” non è un gene che possiamo impiantare nel Dna di un popolo per ottenere che le nuove generazioni nascano con il bernoccolo degli “affari eco compatibili o customer oriented”.

Io continuo a vedere, anche nell’era di Internet, frotte di giovani imprenditori che con i primi trentamila euro guadagnati comprano il SUV. E vedo anche giovani startupper che lavorano in spazi condivisi, nei quali, solo con un notebook e una connessione Wi-Fi lavorano giorno e notte a progetti di ogni sorta, animati solo dalla propria passione, ma che non sanno nulla di tasse, anticipi Iva, Inps, costi di produzione e trattamento di fine rapporto. Perciò alla prima telefonata del commercialista sono presi da attacchi di panico e fanno domanda per “un posto alle poste”.

Insomma: è bello circondarsi di giovani che al costo di una pizza, in un garage inventano Google, ma accade in una parte piccolissima del pianeta. Dobbiamo scoraggiarci per questo e fare tutti domanda alle Poste? Ovvio che no.

Però, ci sono anche giovani che non cercano lavoro, non fanno corsi di formazione, non conoscono le lingue, vivono sulle spalle delle famiglie. Per questo genere di persone, Internet non ha fatto nulla, non ha migliorato le loro condizioni di vita, non ha nulla da offrire ed è pure difficile “da usare” con un PC.

Ci sono milioni di giovani e meno giovani senza alcuna idea di come Internet possa cambiare la loro esistenza. I dati ci dicono che sono la maggioranza della popolazione mondiale e non avendo accesso alla rete, non ha le opportunità del signor Tanaka.

3. Aumenta la collaborazione.

Anche su questo punto sono d’accordo. È bello collaborare, fare le cose insieme per un fine comune, inventarsi un lavoro e farlo assieme a persone che vivono anche dall’altra parte del globo. Impossibile fino a ieri. Questo è uno dei grandi meriti di Internet: favorire le opportunità, permettere ai sogni di diventare realtà.

È tutto vero, Internet ha “inventato” la collaborazione fra persone che nemmeno si conoscono. Non dimentichiamo però che ci sono ancora “alcuni” miliardi di esseri umani che vivono e lavorano senza questa occasione. Ci sono ancora persone che nel posto di lavoro non possono usare la parola collaborazione perché ancora troppi “manager” lavorano secondo lo schema verticale che li pone al vertice, costruito su una “base” di individui che ignorano l’esistenza di altri modelli organizzativi e, inseriti in un modello orizzontale, potrebbero perfino stare peggio! Salvo, ovviamente cambiare tutta l’umanità.

Perciò osanniamo pure il lavoro in team e il sostegno reciproco, la collaborazione per un futuro migliore, ma tutto ciò esiste davvero fuori da Internet? Siamo certi che anche nella civilizzata America i progetti in team non possano fallire esattamente come a Caltanisetta o Berlino perché le persone non sanno collaborare e seguono modelli egoistici?

4. Finalmente capiamo davvero cos’è Internet.

Questo punto del post di Tanaka sprizza entusiasmo da ogni sillaba e credo sia positivo che “molti” giovani comprendano il potenziale della rete. Lungi da me l’idea di spegnere questo ardore: ce ne fosse di più!

L’esempio di Tanaka che cita la primavera araba è corretto. Molte persone hanno capito che Internet può diventare un’arma contro il sistema. Anche i diciottenni della mia generazione pensavano che le radio private avrebbero dato più potere alla libertà di espressione.

Tuttavia, occorre che questi ardenti spiriti, facciano i conti anche con le conseguenze delle rivoluzioni le quali, su questo pianeta, non sono mai prive di conseguenze imprevedibili e spesso nefaste. Gli eventi successivi lo hanno dimostrato.

Perciò, caro Tanaka, andiamoci piano a gioire perché con Twitter puoi cambiare il sistema perché ha funzionato in qualche nazione già traballante: contro il terrorismo moderno è un’altra storia.

5. Il consumismo sfrenato è diminuito.

Intanto è solo un modo di dire e nessun dato viene fornito a sostegno. E ne siamo proprio sicuri? Proviamo a raccontarlo a nuovi consumatori, quelli che “all’improvviso” dispongono di un reddito maggiore. Andiamo a vedere come si comportano le nuove generazioni a Shangai, a San Paolo, a Mumbai: in fila davanti all’Ikea per avere quello che vedono su Internet; vogliono il medesimo stile di vita del mondo occidentale. In fila per il  nuovo Iphone. In fila per l’ultimo Star Wars. Davanti al tablet per comprare su Amazon.

In fila dentro i centri commerciali per comprare quello che prima non potevano. Perché?

Perché oggi possono farlo!

Perché non dovrebbero comportarsi oggi come le persone negli anni ’50, in fila per la prima tivù o la prima utilitaria?

Le coppie di sposini a Pechino sono in lista d’attesa da mesi per comprare la prima automobile della loro vita e soddisfare desideri comuni ad altri miliardi di persone. Il consumismo sfrenato è diminuito, solo nel mondo occidentale e solo in “piccole” categorie di consumatori. I nuovi modelli di consumo sono sempre esistiti, fin dai primi scambi commerciali, migliaia di anni fa.

Ogni nuova scoperta modifica i modelli di consumo. Il baratto è sempre esistito solo che oggi è di moda, i “poveri” hanno sempre fatto ricorso a forme alternative di approvvigionamento. Solo che oggi lo vedi dallo schermo del PC e ne diventi consapevole.

6. Alimentazione sana e biologica.

Questo punto poteva anche risparmiarselo il signor Tanaka, dato che gestisce un portale di contenuti sull’alimentazione, perciò predica pro domo sua.

Sono anni che sento parlare di nuovi modi di alimentarsi, fare la spesa, consumare cibi sani. I grandi pubblicitari, già venti anni fa, concordavano sul fatto che il termine “naturale” avesse perso il suo reale significato, a causa dell’abuso che se ne faceva in pubblicità.

Tanaka continua affermando: “La produzione di cibo gioca un ruolo chiave nella nostra società. Se cambiamo il nostro approccio mentale, le nostre abitudini alimentari e i nostri consumi, le multinazionali dovranno rispondere e adattarsi al nuovo mercato. Il piccolo produttore è di nuovo importante per l’intera catena di produzione. Le persone stanno coltivando piante e semi nelle loro abitazioni.”

Le grandi multinazionali si sono adattate subito alla nuova domanda di cibo per le masse: il Brasile è il secondo produttore mondiale di soia. Questo brillante risultato, grazie anche all’opera dell’instancabile ex “re della soia”, il senatore Blairo Maggi, è stato raggiunto a danno l’ecosistema amazzonico, il polmone del nostro pianeta, trasformando milioni di ettari di foresta amazzonica in distese di soia che per gestirle ci vogliono macchinari più grandi della Torre Eiffel e tutti in riga che sembra l’avanzata dell’armata russa!

Nel 2015, negli USA la produzione statunitense di soia dovrebbe raggiungere i 106,5 milioni di tonnellate, su un rendimento di 3.150 chili per ettaro. La produzione brasiliana, invece, per la stagione 2015/16 dovrebbe toccare i 100 milioni di tonnellate con una resa di 3.050 kg/ha. (4)

16 dicembre 2015 (fonte: Assomais) – Nel 2016 gli agricoltori degli Stati Uniti pianteranno più mais e soia di quanto ci si attendesse ed a pagarne le conseguenze saranno frumento e cotone.

Gli Stati Uniti, che hanno meno terra disponibile dovevano ridurre la produzione, rispetto al Brasile che può distruggere anche molta Amazzonia per far posto alla soia. Invece, secondo i dati recenti gli Usa non si faranno sorpassare. Ecco come le grandi multinazionali rispondono alla domanda di cibo più sano.

Le persone coltivano semi e piante, perché è molto chic mangiare i pomodori coltivati sui tetti di New York. A Cuba, invece se vuoi mangiare qualcosa di diverso e di migliore ti fai l’orto sul terrazzo. E poi “le persone coltivano piante e semi nelle loro abitazioni…”. Suvvia, non è che a Milano o a Parigi la gente gira con l’annaffiatoio per strada e all’edicola compra solo riviste di giardinaggio o dai balconi dei condomini scendono grappoli di pomodori Pachino!

È vero che il piccolo produttore, grazie a Internet può contare su un mercato praticamente sterminato. Ma non è importante per l’intera catena di produzione: è importante perché se non capisce che Internet gli permette di intercettare nuovi modelli di consumo alimentare, chiude! Perciò ben venga Internet e un pochino di umiltà nell’imparare nuovi modelli produttivi e distributivi.

7. Il risveglio della spiritualità.

Questo punto si commenta da solo con questo paragrafo: “Le aziende permettono ai dipendenti di meditare. Nelle scuole si insegnano ai ragazzi tecniche di meditazione.”

La ricerca della spiritualità mi riporta ai miei sedici anni, quando sognavo il solito viaggio in India, leggevo Hermann Hesse e studiavo il Buddismo Mahayana. Perciò non vedo tutta questa scoperta di valori e pratiche spirituali. Il fenomeno del terrorismo su base religiosa, invece, lo vedo di più. Ogni giorno. Non tutte le persone si fanno domande sull’aldilà. Oltre un miliardo di mussulmani lo sa già e oltre un miliardo di cattolici pure. Anche questo risveglio, per lo più, è in voga nelle nuove generazioni che mescolano e provano pratiche di ogni sorta, con l’attenuante di cercare sé stessi.

È sicuro che le persone stanno cercando nuove risposte alle antiche domande, ma queste nuove risposte vanno di pari passo con l’aumento di guru, asceti, esperti in tecniche di meditazione, life trainers. Il marketing e l’esigenza di trovare un lavoro, ha fatto nascere una nuova categoria di personaggi più o meno affidabili che, a costi variabili, ti dice chi sei, cosa vuoi e cosa devi fare per essere figo anche nell’aldilà.

8. L’ascesa del cosiddetto “un-schooling”come modello d’istruzione alternativo.

Riporto solo un passaggio di Tanaka su questo argomento: “Perché non ci insegnano la verità sulle altre civiltà antiche?”

Qui devo proprio ammettere che l’articolo ha una falla, anche grande. Una sola domanda per l’autore che sembra ignorare le basi della filosofia: “Chi stabilisce la verità?”.

Altra questione: l’homeschooling è consentito solo in certe nazioni. In America ci sono numerosi genitori che si occupano di dare ai figli una sana educazione. Compreso insegnare loro che Darwin era uno scemo e che l’uomo viene da Dio e tutto il resto sono baggianate che non vanno nemmeno ascoltate sennò diventi sordo.

In Italia l’obbligo di istruzione (gratuita) può essere assolto:

  • nelle scuole statali e paritarie
  • nelle strutture accreditate dalle Regioni per la formazione professionale
  • attraverso l’istruzione parentale

Tuttavia, non sono sicuro che esistano tante famiglie italiane che educano i figli a casa, sennò le tasse che si pagano a fare? Ma potrei anche sbagliarmi. Se hai notizie fondate in merito all’istruzione parentale sono pronto a cambiare idea.

Questa parte dell’articolo poi è zeppa di domande che dimostrano la totale incompetenza dell’autore sulla didattica, cito: (E perché dobbiamo sostenere dei test per dimostrare quello che abbiamo imparato?)

Grazie alla temporanea esperienza di docente esterno nella scuola pubblica e di praticante del lifelong learning (o apprendimento permanente), ho imparato che, sostenere dei test, è parte fondamentale del percorso di apprendimento di una qualsiasi materia. Anche imparare a fare l’uovo sodo richiede più test. Senza la prova che hai acquisito delle competenze, non avrai vissuto l’esperienza dello studio finalizzato a un obiettivo che è dimostrare a te stesso che hai compreso, assimilato e che sei in grado di ricordare e utilizzare ciò che sai.

I test, le prove, sono parte di ogni aspetto della vita, anche nel lavoro più banale; il test è il momento in cui provi a tè stesso e agli altri che hai le capacità e gli strumenti per fare ciò che hai detto di saper fare!

Prova ad avviare una startup insieme a persone che dicono di saper fare e il giorno dopo ti penti amaramente di non aver chiesto referenze e risultati ottenuti, altrimenti chiamati “prove superate”.

Conclusione

Per quale ragione scrivere un post così pieno di termini generici come “le persone, il mondo, la gente, ecc.”?

Siamo tutti sicuri che tutto il mondo ruoti intorno al nostro piccolo universo digitale?

La nostra visione della foresta spesso è così limitata che non riesce a superare la cima degli alberi e, nonostante questo, crediamo che un solo albero rappresenti la foresta intera?

Oppure quando la nostra prospettiva cambia, crediamo che tutto il mondo debba cambiare e provare la medesima euforia, perfino quello stesso entusiasmo del signor Tanaka, dopo che ha mollato tutto per mettersi in proprio?

Non so rispondere. Però di una cosa sono certo: Internet ha cambiato la vita di milioni di persone, quasi la metà della popolazione mondiale, perciò in molti (non so quanti) hanno compreso cosa può fare Internet per loro, come individui e imprenditori.

Però c’è ancora l’altra metà che non ha accesso alla rete, a questa gigantesca mole di informazioni e di opportunità e, pare, leggendo qua e là, che può scordarsi Internet almeno fino al 2021.

Mi auguro solo che, per quella data, gli articoli che parlano di tutto e di niente, siano diminuiti di numero e sia cresciuta la consapevolezza che raccontare banalità  alle persone, prima o poi, influisce sulla nostra reputazione professionale.

Questa è la forza e, insieme, la debolezza di Internet: permettere al 46.1% della popolazione mondiale (5), di connettersi e comunicare in tempo reale. Possiamo raccontare la nostra storia e condividere ogni dettaglio della nostra esistenza e, al tempo stesso, permettere a chiunque di controllare l’attendibilità di ciò che pubblichiamo.

Il rovescio della medaglia è il lato fragile della rete: tutto ciò che condividiamo diventa universale, perciò la sua diffusione riduce il nostro livello di sicurezza individuale.


Ho pubblicato questo post per condividere il mio punto di vista. Mi farebbe piacere conoscere la tua opinione e, se ti è servito il post o ti è piaciuto, qualche like o condivisione rafforzerebbe la mia autostima.


  1. Fonte: Repubblica.it – “Internet non è per tutti, mancati gli obiettivi 2015: 4 miliardi di persone tagliate fuori, donne penalizzate” – articolo del 23/09/2015 di Simone Cosimi
  2. Fonte: Wired.it  – “Rapporto Onu, per 4 miliardi di persone internet è un lusso” – articolo del 25/09/2015 di Giuditta Mosca
  3. Fonte: wsj.com  “Global Digital Divide Worsens, World Economic Forum Report Says” – articolo del 23/04/2014 di  Spencer E. Ante
  4. Fonte: ruminantia.it – “Soia e mais, Stati Uniti e Brasile a confronto” – articolo del 24 agosto 2015
  5. Fonte: internetworldstats.com – World Internet Users and 2015 Population Stats – dati novembre 2015

Photo credits: https://www.flickr.com/photos/samfelder/

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Le mie competenze sono a disposizione di aziende e professionisti che desiderano creare relazioni con potenziali clienti impiegando i mezzi della comunicazione crossmediale, il Web Marketing e il Social Media Marketing.

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Prima di tutto, ti avverto: questo post è un’analisi critica di un articolo di un altro autore, arrivare in fondo ti costerà qualche minuto ma, se ti interessa l’argomento, vale la pena leggere tutto il mio post.

“Nel mondo sta accadendo qualcosa di straordinario, ma molte persone non se ne sono accorte” è il titolo di un articolo apparso su Huffington Post il 18 dicembre 2015, tradotto dall’originale inglese apparso due giorni prima.

Detto questo, Internet ha veramente cambiato il mondo?

Gustavo Tanaka, autore del post, indica otto elementi che lo inducono a credere che Internet abbia prodotto grandi cambiamenti nel mondo. Fin qui potremmo anche essere d’accordo.

Intanto vediamo di capire chi è il signor Tanaka. Premetto che non conosco il portoghese e solo grazie a Google Translate ho potuto farmi un’idea di chi sia l’autore del post. È un imprenditore brasiliano, co-fondatore di un portale orizzontale (o generalista) che parla di alimentazione, fitness, gastronomia, natura.

Adesso ti illustro il mio punto di vista.

Io sono d’accordo con Tanaka: Internet influisce sulle nostre scelte quotidiane, personali e professionali.

Tuttavia, quando usiamo il termine “noi”, dobbiamo sempre ricordare che non stiamo parlando dei sette miliardi e mezzo di persone che popolano il nostro pianeta.

È questa generalizzazione che mi fa saltare la mosca al naso.

Repubblica.it il 23 settembre 2015 riporta:

“Internet non è per tutti, mancati gli obiettivi 2015: 4 miliardi di persone tagliate fuori, donne penalizzate. L’ultimo rapporto della Commissione congiunta Unesco e Itu ((International Telecommunication Union) traccia un bilancio mortificante: il 57% della popolazione mondiale non ha accesso alla rete..” (1)

Un paio di giorni più tardi Wired.it aggiunge:

“Stiamo quindi assistendo alla crescita di un mondo ulteriormente suddiviso dal digital divide, … tenendo conto anche degli aspetti linguistici: oggi sul web sono trasposte, in parti disomogenee, solo il 5% dei 7.100 idiomi esistenti. È ovvio che non potranno essere create risorse per ognuna delle lingue usate sul pianeta, ma il 5% tende a escludere fette consistente di popolazioni.” (2)

Già nel 2014, il rapporto del World Economic Forum, indicava che il Digital Divide era peggiorato. Riporto solo pochi dati:

“Gli Stati Uniti hanno guadagnato 2 posizioni quest’anno (2014), mentre Hong Kong è sceso di 6 posti … Il Regno Unito ha perso 2 posti … nel mondo in via di sviluppo la Cina ha perso 4 posti scendendo al nr. 62, il Brasile ha perso 9 posizioni scendendo al 69° posto…” (3)

Ora, proprio mentre il Brasile perdeva posizioni nel 2014, il nostro signor Tanaka, probabilmente era già intento a progettare la sua startup e per questo merita il mio elogio.

Allora questo Internet a cosa serve? Ci ha cambiato veramente la vita?

Vediamo gli 8 punti del suo articolo su Huffington Post.

1. C’è sempre meno tolleranza verso l’attuale modello d’impiego.

È vero ma, come ricorda Tanaka, questo avviene principalmente per le grandi imprese, le corporations, le multinazionali, le aziende con centinaia (e migliaia) di dipendenti.

Il modello di impiego è obsoleto, però è anche vero che molte persone sono gratificate dal proprio lavoro, altre lo fanno, non da oggi, direttamente da casa con il computer o il telefono. Però è anche vero che ci sono ancora milioni di persone, le quali, nelle mega aziende ci stanno bene perché hanno deciso che quella è la loro vita e accettano lati positivi e negativi della faccenda, perché oggigiorno cambiare vita e aprire una startup o diventare nomade digitale, non è da tutti. Non tutti hanno il coraggio per cambiare la propria esistenza, ci sono famiglie intere che dipendono da uno o due salari e culture che sembrano esistere con lo scopo di perpetuare l’idea del posto fisso. Perciò l’attuale modello di impiego è superato, sono quasi d’accordo, ma come lo spieghiamo a Walmart, Philip Morris, Toyota, Microsoft, Sony, eccetera? Esistono modelli organizzativi adatti a milioni di persone che non pensano proprio a diventare imprenditori. Oppure Tanaka sogna di cambiare il mondo e trasformare la razza umana in sette miliardi di partite Iva?

2. Il modello imprenditoriale sta cambiando.

Anche questo è condivisibile: il modello di impresa che ha come unico obiettivo il denaro non funziona più: le persone (non tutte) vogliono essere gratificate per ciò che fanno e, alcune, guadagnare anche qualcosa in meno pur di essere apprezzate sul posto di lavoro.

Però è anche vero che “un certo tipo di cultura imprenditoriale” non è un gene che possiamo impiantare nel Dna di un popolo per ottenere che le nuove generazioni nascano con il bernoccolo degli “affari eco compatibili o customer oriented”.

Io continuo a vedere, anche nell’era di Internet, frotte di giovani imprenditori che con i primi trentamila euro guadagnati comprano il SUV. E vedo anche giovani startupper che lavorano in spazi condivisi, nei quali, solo con un notebook e una connessione Wi-Fi lavorano giorno e notte a progetti di ogni sorta, animati solo dalla propria passione, ma che non sanno nulla di tasse, anticipi Iva, Inps, costi di produzione e trattamento di fine rapporto. Perciò alla prima telefonata del commercialista sono presi da attacchi di panico e fanno domanda per “un posto alle poste”.

Insomma: è bello circondarsi di giovani che al costo di una pizza, in un garage inventano Google, ma accade in una parte piccolissima del pianeta. Dobbiamo scoraggiarci per questo e fare tutti domanda alle Poste? Ovvio che no.

Però, ci sono anche giovani che non cercano lavoro, non fanno corsi di formazione, non conoscono le lingue, vivono sulle spalle delle famiglie. Per questo genere di persone, Internet non ha fatto nulla, non ha migliorato le loro condizioni di vita, non ha nulla da offrire ed è pure difficile “da usare” con un PC.

Ci sono milioni di giovani e meno giovani senza alcuna idea di come Internet possa cambiare la loro esistenza. I dati ci dicono che sono la maggioranza della popolazione mondiale e non avendo accesso alla rete, non ha le opportunità del signor Tanaka.

3. Aumenta la collaborazione.

Anche su questo punto sono d’accordo. È bello collaborare, fare le cose insieme per un fine comune, inventarsi un lavoro e farlo assieme a persone che vivono anche dall’altra parte del globo. Impossibile fino a ieri. Questo è uno dei grandi meriti di Internet: favorire le opportunità, permettere ai sogni di diventare realtà.

È tutto vero, Internet ha “inventato” la collaborazione fra persone che nemmeno si conoscono. Non dimentichiamo però che ci sono ancora “alcuni” miliardi di esseri umani che vivono e lavorano senza questa occasione. Ci sono ancora persone che nel posto di lavoro non possono usare la parola collaborazione perché ancora troppi “manager” lavorano secondo lo schema verticale che li pone al vertice, costruito su una “base” di individui che ignorano l’esistenza di altri modelli organizzativi e, inseriti in un modello orizzontale, potrebbero perfino stare peggio! Salvo, ovviamente cambiare tutta l’umanità.

Perciò osanniamo pure il lavoro in team e il sostegno reciproco, la collaborazione per un futuro migliore, ma tutto ciò esiste davvero fuori da Internet? Siamo certi che anche nella civilizzata America i progetti in team non possano fallire esattamente come a Caltanisetta o Berlino perché le persone non sanno collaborare e seguono modelli egoistici?

4. Finalmente capiamo davvero cos’è Internet.

Questo punto del post di Tanaka sprizza entusiasmo da ogni sillaba e credo sia positivo che “molti” giovani comprendano il potenziale della rete. Lungi da me l’idea di spegnere questo ardore: ce ne fosse di più!

L’esempio di Tanaka che cita la primavera araba è corretto. Molte persone hanno capito che Internet può diventare un’arma contro il sistema. Anche i diciottenni della mia generazione pensavano che le radio private avrebbero dato più potere alla libertà di espressione.

Tuttavia, occorre che questi ardenti spiriti, facciano i conti anche con le conseguenze delle rivoluzioni le quali, su questo pianeta, non sono mai prive di conseguenze imprevedibili e spesso nefaste. Gli eventi successivi lo hanno dimostrato.

Perciò, caro Tanaka, andiamoci piano a gioire perché con Twitter puoi cambiare il sistema perché ha funzionato in qualche nazione già traballante: contro il terrorismo moderno è un’altra storia.

5. Il consumismo sfrenato è diminuito.

Intanto è solo un modo di dire e nessun dato viene fornito a sostegno. E ne siamo proprio sicuri? Proviamo a raccontarlo a nuovi consumatori, quelli che “all’improvviso” dispongono di un reddito maggiore. Andiamo a vedere come si comportano le nuove generazioni a Shangai, a San Paolo, a Mumbai: in fila davanti all’Ikea per avere quello che vedono su Internet; vogliono il medesimo stile di vita del mondo occidentale. In fila per il  nuovo Iphone. In fila per l’ultimo Star Wars. Davanti al tablet per comprare su Amazon.

In fila dentro i centri commerciali per comprare quello che prima non potevano. Perché?

Perché oggi possono farlo!

Perché non dovrebbero comportarsi oggi come le persone negli anni ’50, in fila per la prima tivù o la prima utilitaria?

Le coppie di sposini a Pechino sono in lista d’attesa da mesi per comprare la prima automobile della loro vita e soddisfare desideri comuni ad altri miliardi di persone. Il consumismo sfrenato è diminuito, solo nel mondo occidentale e solo in “piccole” categorie di consumatori. I nuovi modelli di consumo sono sempre esistiti, fin dai primi scambi commerciali, migliaia di anni fa.

Ogni nuova scoperta modifica i modelli di consumo. Il baratto è sempre esistito solo che oggi è di moda, i “poveri” hanno sempre fatto ricorso a forme alternative di approvvigionamento. Solo che oggi lo vedi dallo schermo del PC e ne diventi consapevole.

6. Alimentazione sana e biologica.

Questo punto poteva anche risparmiarselo il signor Tanaka, dato che gestisce un portale di contenuti sull’alimentazione, perciò predica pro domo sua.

Sono anni che sento parlare di nuovi modi di alimentarsi, fare la spesa, consumare cibi sani. I grandi pubblicitari, già venti anni fa, concordavano sul fatto che il termine “naturale” avesse perso il suo reale significato, a causa dell’abuso che se ne faceva in pubblicità.

Tanaka continua affermando: “La produzione di cibo gioca un ruolo chiave nella nostra società. Se cambiamo il nostro approccio mentale, le nostre abitudini alimentari e i nostri consumi, le multinazionali dovranno rispondere e adattarsi al nuovo mercato. Il piccolo produttore è di nuovo importante per l’intera catena di produzione. Le persone stanno coltivando piante e semi nelle loro abitazioni.”

Le grandi multinazionali si sono adattate subito alla nuova domanda di cibo per le masse: il Brasile è il secondo produttore mondiale di soia. Questo brillante risultato, grazie anche all’opera dell’instancabile ex “re della soia”, il senatore Blairo Maggi, è stato raggiunto a danno l’ecosistema amazzonico, il polmone del nostro pianeta, trasformando milioni di ettari di foresta amazzonica in distese di soia che per gestirle ci vogliono macchinari più grandi della Torre Eiffel e tutti in riga che sembra l’avanzata dell’armata russa!

Nel 2015, negli USA la produzione statunitense di soia dovrebbe raggiungere i 106,5 milioni di tonnellate, su un rendimento di 3.150 chili per ettaro. La produzione brasiliana, invece, per la stagione 2015/16 dovrebbe toccare i 100 milioni di tonnellate con una resa di 3.050 kg/ha. (4)

16 dicembre 2015 (fonte: Assomais) – Nel 2016 gli agricoltori degli Stati Uniti pianteranno più mais e soia di quanto ci si attendesse ed a pagarne le conseguenze saranno frumento e cotone.

Gli Stati Uniti, che hanno meno terra disponibile dovevano ridurre la produzione, rispetto al Brasile che può distruggere anche molta Amazzonia per far posto alla soia. Invece, secondo i dati recenti gli Usa non si faranno sorpassare. Ecco come le grandi multinazionali rispondono alla domanda di cibo più sano.

Le persone coltivano semi e piante, perché è molto chic mangiare i pomodori coltivati sui tetti di New York. A Cuba, invece se vuoi mangiare qualcosa di diverso e di migliore ti fai l’orto sul terrazzo. E poi “le persone coltivano piante e semi nelle loro abitazioni…”. Suvvia, non è che a Milano o a Parigi la gente gira con l’annaffiatoio per strada e all’edicola compra solo riviste di giardinaggio o dai balconi dei condomini scendono grappoli di pomodori Pachino!

È vero che il piccolo produttore, grazie a Internet può contare su un mercato praticamente sterminato. Ma non è importante per l’intera catena di produzione: è importante perché se non capisce che Internet gli permette di intercettare nuovi modelli di consumo alimentare, chiude! Perciò ben venga Internet e un pochino di umiltà nell’imparare nuovi modelli produttivi e distributivi.

7. Il risveglio della spiritualità.

Questo punto si commenta da solo con questo paragrafo: “Le aziende permettono ai dipendenti di meditare. Nelle scuole si insegnano ai ragazzi tecniche di meditazione.”

La ricerca della spiritualità mi riporta ai miei sedici anni, quando sognavo il solito viaggio in India, leggevo Hermann Hesse e studiavo il Buddismo Mahayana. Perciò non vedo tutta questa scoperta di valori e pratiche spirituali. Il fenomeno del terrorismo su base religiosa, invece, lo vedo di più. Ogni giorno. Non tutte le persone si fanno domande sull’aldilà. Oltre un miliardo di mussulmani lo sa già e oltre un miliardo di cattolici pure. Anche questo risveglio, per lo più, è in voga nelle nuove generazioni che mescolano e provano pratiche di ogni sorta, con l’attenuante di cercare sé stessi.

È sicuro che le persone stanno cercando nuove risposte alle antiche domande, ma queste nuove risposte vanno di pari passo con l’aumento di guru, asceti, esperti in tecniche di meditazione, life trainers. Il marketing e l’esigenza di trovare un lavoro, ha fatto nascere una nuova categoria di personaggi più o meno affidabili che, a costi variabili, ti dice chi sei, cosa vuoi e cosa devi fare per essere figo anche nell’aldilà.

8. L’ascesa del cosiddetto “un-schooling”come modello d’istruzione alternativo.

Riporto solo un passaggio di Tanaka su questo argomento: “Perché non ci insegnano la verità sulle altre civiltà antiche?”

Qui devo proprio ammettere che l’articolo ha una falla, anche grande. Una sola domanda per l’autore che sembra ignorare le basi della filosofia: “Chi stabilisce la verità?”.

Altra questione: l’homeschooling è consentito solo in certe nazioni. In America ci sono numerosi genitori che si occupano di dare ai figli una sana educazione. Compreso insegnare loro che Darwin era uno scemo e che l’uomo viene da Dio e tutto il resto sono baggianate che non vanno nemmeno ascoltate sennò diventi sordo.

In Italia l’obbligo di istruzione (gratuita) può essere assolto:

  • nelle scuole statali e paritarie
  • nelle strutture accreditate dalle Regioni per la formazione professionale
  • attraverso l’istruzione parentale

Tuttavia, non sono sicuro che esistano tante famiglie italiane che educano i figli a casa, sennò le tasse che si pagano a fare? Ma potrei anche sbagliarmi. Se hai notizie fondate in merito all’istruzione parentale sono pronto a cambiare idea.

Questa parte dell’articolo poi è zeppa di domande che dimostrano la totale incompetenza dell’autore sulla didattica, cito: (E perché dobbiamo sostenere dei test per dimostrare quello che abbiamo imparato?)

Grazie alla temporanea esperienza di docente esterno nella scuola pubblica e di praticante del lifelong learning (o apprendimento permanente), ho imparato che, sostenere dei test, è parte fondamentale del percorso di apprendimento di una qualsiasi materia. Anche imparare a fare l’uovo sodo richiede più test. Senza la prova che hai acquisito delle competenze, non avrai vissuto l’esperienza dello studio finalizzato a un obiettivo che è dimostrare a te stesso che hai compreso, assimilato e che sei in grado di ricordare e utilizzare ciò che sai.

I test, le prove, sono parte di ogni aspetto della vita, anche nel lavoro più banale; il test è il momento in cui provi a tè stesso e agli altri che hai le capacità e gli strumenti per fare ciò che hai detto di saper fare!

Prova ad avviare una startup insieme a persone che dicono di saper fare e il giorno dopo ti penti amaramente di non aver chiesto referenze e risultati ottenuti, altrimenti chiamati “prove superate”.

Conclusione

Per quale ragione scrivere un post così pieno di termini generici come “le persone, il mondo, la gente, ecc.”?

Siamo tutti sicuri che tutto il mondo ruoti intorno al nostro piccolo universo digitale?

La nostra visione della foresta spesso è così limitata che non riesce a superare la cima degli alberi e, nonostante questo, crediamo che un solo albero rappresenti la foresta intera?

Oppure quando la nostra prospettiva cambia, crediamo che tutto il mondo debba cambiare e provare la medesima euforia, perfino quello stesso entusiasmo del signor Tanaka, dopo che ha mollato tutto per mettersi in proprio?

Non so rispondere. Però di una cosa sono certo: Internet ha cambiato la vita di milioni di persone, quasi la metà della popolazione mondiale, perciò in molti (non so quanti) hanno compreso cosa può fare Internet per loro, come individui e imprenditori.

Però c’è ancora l’altra metà che non ha accesso alla rete, a questa gigantesca mole di informazioni e di opportunità e, pare, leggendo qua e là, che può scordarsi Internet almeno fino al 2021.

Mi auguro solo che, per quella data, gli articoli che parlano di tutto e di niente, siano diminuiti di numero e sia cresciuta la consapevolezza che raccontare banalità  alle persone, prima o poi, influisce sulla nostra reputazione professionale.

Questa è la forza e, insieme, la debolezza di Internet: permettere al 46.1% della popolazione mondiale (5), di connettersi e comunicare in tempo reale. Possiamo raccontare la nostra storia e condividere ogni dettaglio della nostra esistenza e, al tempo stesso, permettere a chiunque di controllare l’attendibilità di ciò che pubblichiamo.

Il rovescio della medaglia è il lato fragile della rete: tutto ciò che condividiamo diventa universale, perciò la sua diffusione riduce il nostro livello di sicurezza individuale.


Ho pubblicato questo post per condividere il mio punto di vista. Mi farebbe piacere conoscere la tua opinione e, se ti è servito il post o ti è piaciuto, qualche like o condivisione rafforzerebbe la mia autostima.


  1. Fonte: Repubblica.it – “Internet non è per tutti, mancati gli obiettivi 2015: 4 miliardi di persone tagliate fuori, donne penalizzate” – articolo del 23/09/2015 di Simone Cosimi
  2. Fonte: Wired.it  – “Rapporto Onu, per 4 miliardi di persone internet è un lusso” – articolo del 25/09/2015 di Giuditta Mosca
  3. Fonte: wsj.com  “Global Digital Divide Worsens, World Economic Forum Report Says” – articolo del 23/04/2014 di  Spencer E. Ante
  4. Fonte: ruminantia.it – “Soia e mais, Stati Uniti e Brasile a confronto” – articolo del 24 agosto 2015
  5. Fonte: internetworldstats.com – World Internet Users and 2015 Population Stats – dati novembre 2015

Photo credits: https://www.flickr.com/photos/samfelder/

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