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Comunicazione aziendale, Web Marketing, Social Media Marketing.

Perché i piccoli imprenditori non credono nel marketing

Il marketing è per le grandi aziende e le piccole attività devono accontentarsi di fare pubblicità? Nel 2023 molti piccoli imprenditori ne sono ancora convinti. Perchè sbagliano? Perché non credono nel marketing?

Perché I Piccoli Imprenditori Non Credono Nel Marketing

Non è una domanda retorica. Se la maggioranza dei piccoli imprenditori credesse nel marketing e ne conoscesse le basi, Internet non sarebbe pieno di articoli su come fare marketing quando hai una piccola attività o sei un professionista.

Ci ho pensato molto prima di decidermi a scrivere questo post che potrebbe sembrare uno sfogo o, peggio ancora, un’occasione per lamentarsi, vizio italiano per eccellenza.

Ma non nè l’uno nè l’altro. Però non voglio rubarti del tempo e non lasciarti niente, quindi qualcosa di utile per la tua attività lo troverai, se non sei un mago del web marketing.

Qualcosa potrai imparare se ti interessa “cambiare” mentalità, se sei uno startupper tra le migliaia che hanno avviato attività negli ultimi due anni oppure sei stanco/a di andare in giro con le “pezze nel culo”.

Non ce l’ho con nessuno in particolare, ma non sono il solo ad affermare che parlare di marketing con un piccolo imprenditore o un libero professionista in Italia è come convincere l’italiano medio a usare il computer invece dello smartphone.

Non mi riferisco alla maggioranza delle 600.000 imprese presenti all’inizio del 2020 in Italia, delle quali una gran parte gestita da under 35 (Fonte: Istat).

Tra i giovani startupper, molti ancora non sanno leggere un bilancio. Ciononostante, usano i social per vendere la loro mercanzia come non ci fosse un domani.

Perciò, in teoria, dovrebbero avere le basi del marketing. Ma non ci metterei la mano sul fuoco.

No, penso agli imprenditori adulti, quelli dagli “anta” in su.

Credi siano tutti defunti nell’ultimo biennio? Sbagli. Guarda i dati della C.C.I.A.A. di Bologna, tanto per fare un esempio.

  • Solo il 4% sono giovani tra 18 a 29 anni,
  • il 39% ha un’età tra i 30 a 49 anni,
  • il 47% dei titolari d’impresa bolognesi ha da 50 a 69 anni,
  • il 10% da 70 anni in poi.

Più in dettaglio, l’età media dei titolari a Bologna è pari a 52 anni, valore superiore di quello nazionale (51,2) ma lievemente inferiore di quello dell’Emilia Romagna (52,4).

Se sommiamo chi ha da 50 anni a oltre 70 anni, arriviamo al 57% dei titolari d’impresa che non possono essere davvero considerati giovani startupper.

Che conclusione trarre? È un dato, preso così non significa che oltre la metà degli imprenditori bolognesi sia “vecchio di mentalità” solo perché è più vicino alla pensione ma se potessimo prendere in esame l’Italia forse scopriremmo che il paese tra meno di vent’anni potrebbe finire tra quelli in via di sviluppo o in fase di decomposizione – forse funzionerà solo un po’ di quel turismo archeologico che popola lo stivale nei mesi caldi per immortalare ciò che resta dell’impero romano ma che del Rinascimento e della nascita del Made in Italy non sa niente.

Prima di proseguire però, vorrei farti anche riflettere su un altro dato molto più “preoccupante”: l’analfabetismo funzionale in Italia.

Italia analfabetismo funzionale

Ho copiato il paragrafo dall’articolo: Analfabetismo funzionale, l’Italia è uno dei peggiori paesi in Europa. L’Indipendente però evita di fare i conti che sono il lato preoccupante della notizia.

La popolazione tra i 16 e 65 anni in Italia è formata da poco più da 40 milioni di individui, uomini e donne. Il 27,7% di questi è considerato alfabeta funzionale, cioè circa 11 milioni di persone.

La notizia non è recente e già in passato eminenti studiosi hanno posto l’accento sul fatto.

Essere imprenditore non significa “automaticamente” avere una “cultura d’impresa” anche se il termine mi lascia alquanto indifferente: qui si parla di “cose che si conoscono per esperienza e si sanno fare”.

Mentre in Italia godiamo nel riempirci la bocca di concetti astratti e chiacchere da bar.

Non a caso, la cosiddetta “cultura d’impresa”, secondo Ca’ Foscari, è un insieme di valori e approcci che ne determinano l’identità. Il suo modo di essere, agire e stare sul mercato e sul territorio.

Ripeto, qui si parla di conoscere il marketing, online e offline e perchè i piccoli imprenditori lo scansano come la peste.

Il PC sta al marketing come lo smartphone ai social

L’avvento dello smartphone, per milioni di italiani, è stato il momento in cui hanno scoperto l’esistenza delle tecnologie informatiche, del mondo digitale.

Prima esisteva solo uno stramaledetto coso che ci voleva la laurea per farlo funzionare perciò restava la “macchina” che solo le impiegate della contabilità e qualche genio dell’IT usava quotidianamente.

Mentre metà del pianeta si tuffava nell’era del personal computer alla velocità della luce, l’imprenditore italiano medio faceva ancora i conti leccando la punta della matita e scrivendo sul registro dei corrispettivi comprato da Buffetti.

Sono passati oltre trent’anni da quando Tim Berners-Lee (per inciso il padre di Internet) presentò la sua proposta per il progetto World Wide Web al suo capo al CERN di Ginevra nel marzo 1989.

Quando mostrò una proposta per il progetto ai suoi colleghi del CERN tre mesi dopo, ricevette un feedback per iscritto. Uno dei commenti sulla sua proposta era di Mike Sendall, il suo supervisore all’epoca, che scrisse “Vago ma eccitante” sulla copertina del documento.

Mentre questo accadeva nel 1989 a Ginevra, cosa facevano gli imprenditori italiani? Se la spassavano in discoteca oppure alle due di notte facevano ancora i conti del giorno con la calcolatrice Olivetti Divisumma 24?

A proposito di Olivetti!

Se credi che l’Italia sia sempre stata una nazione di santi, poeti e navigatori e pizzaioli devi ricrederti.

Molta più acqua sotto i ponti è passata rispetto all’invenzione del WWW, da quando la Olivetti aprì una sede a Cupertino, nel 1972, quando Steve Jobs era ancora un fricchettone impiegato in Atari e Wozniak pianificava il resto della sua vita in HP.

Olivetti negli anni ‘80 fu primo produttore di Pc e terzo al mondo, creando i primi portatili con processori micro. Sembra assurdo ma l’imprenditore italiano medio e, in genere, molti altri milioni di connazionali, hanno “schifato” per anni il personal computer perché troppo difficile da usare, mentre era da figo camminare per strada parlando al telefono da una cornetta collegata con un filo a una valigetta che pesava 100 kg! (Tecnologia TACS)

“Ai giovani va spiegato cosa fosse la Olivetti, chi fosse Faggin (inventò il touch…) e che contributo diede il nostro paese alla rivoluzione informatica (la NASA copiò un calcolatore, un elaboratore italiano, per mandare l’Apollo sulla Luna…in tempi in cui il termine computer non lo utilizzava nessuno…”elaboravano” le macchine a quel tempo, per utilizzare l’italiano…)”.

(Fonte dei paragrafi in corsivo su Olivetti in corsivo tratte da: Associazione Archivio Storico Olivetti, da un post su Facebook della pagina WeltanschauungItaliaLink al post originale

Ora che abbiamo mostrato ai giovani cosa sarebbe potuto diventare questo paese grazie a imprenditori illuminati che dopo il ’45 hanno cominciato a modellare una nazione così creativa e veramente innovativa da spaventare tutti quelli che l’hanno voluta affossare, torniamo alla nostra domanda.

Perché i piccoli imprenditori non credono nel marketing?

Io penso che la risposta vada cercata talmente indietro nella storia italiana che oramai non ha più senso parlarne.

Quando le parole, gli insegnamenti, la conoscenza sono tramandate da una generazione alla successiva, è estremamente difficile cambiare le abitudini, le opinioni, le convinzioni che hanno piantato radici profonde fino a far diventare “normale” commettere anche gli errori più grossolani, perché la maggioranza non li considera errori.

Così, mentre le nuove generazioni di imprenditori sanno tutto di TikTok, continuano ad aprire attività a ritmo incalzante senza sapere leggere un conto economico.

Come le generazioni precedenti, preferiscono affidare tutta l’amministrazione in mano di commercialisti il cui compito non è certamente quello di indicare la strada agli imprenditori che, come nei film stile Wall Street, passano la giornata sui fogli di calcolo, ora sull’Intelligenza Artificiale, per capire la percentuale di abbandono della home del sito e come fare per ridurla al minimo.

Sto generalizzando. Molti giovani imprenditori sono bravi, parlano un buon inglese, conversano giornalmente con partner dall’altra parte del globo e lavorano dal pc sull’aereo, proprio come nei film.

Ma sono la minoranza. Tra gli altri, gran parte degli anta che sopravvivono ancora incolpando burocrazia, tasse ed evasione fiscale, conoscono solo la pubblicità; del marketing e delle mille attività che anche i piccoli imprenditori possono mettere in pratica grazie all’informatica (parola obsoleta, meglio dire digitale), non se preoccupano affatto.

Principalmente perché il marketing è per il lungo periodo, invece la pubblicità serve a portare soldi in cassa ogni giorno. Almeno questa è la voce che gira tra i superesperti.

Perché la pubblicità in Italia vince sul marketing?

Voglio rispondere con un elenco di considerazioni che dovresti leggere con estrema attenzione; potresti scoprire che una di queste ragioni è quella che frena la crescita della tua attività.

Potrebbero esserci diversi motivi per cui molti piccoli imprenditori e professionisti come i lavoratori autonomi, danno la priorità alla pubblicità rispetto al marketing o non credono pienamente nel valore del marketing. Ecco i principali quattro.

1. Mancanza di conoscenza

Non voglio darti dell’ignorante anche se a casa mia non è un’offesa perché nessuno nasce imparato; nondimeno, molti non comprendono appieno la differenza tra marketing e pubblicità. La pubblicità è una sottocategoria del marketing e si concentra sulla promozione di un prodotto o servizio attraverso canali a pagamento come TV, radio, stampa o annunci online e molti altri mezzi come quelli che il marketing digitale ti mette a disposizione, alcuni dei quali estremamente convenienti. Il marketing comprende una gamma più ampia di attività, tra cui ricerche di mercato, politiche dei prezzi, logistica, branding, pubbliche relazioni e coinvolgimento dei clienti.

Per capire perché la pubblicità deve stare all’ultimo posto tra le 4P del marketing, leggi il post Vendere senza fare pubblicità. Si può?

2. Risultati immediati

La pubblicità promette risultati immediati, come un aumento delle vendite o dei lead, mentre il marketing può richiedere più tempo e sforzi per produrre risultati. Questa però comincia a suonare come una storiella che temo finisca per allontanare i piccoli imprenditori dal marketing digitale. I proprietari di piccole imprese possono essere più inclini a investire nella pubblicità in quanto può fornire un ritorno sull’investimento più rapido. C’è un problema però: focalizzarsi sulla pubblicità per fare cassa e dimenticare il marketing perché non ci sono abbastanza soldi per fare tutto, può portare a risultati terribili, come vedere crollare le vendite quando il mercato è saturo, la concorrenza diventa più aggressiva, il clienti non tornano per mancanza di strategie di fidelizzazione, ecc. Vedi? Niente marketing e tutta pubblicità, è una scelta che anche nel medio periodo (mesi) può fare enormi danni che non hai visto arrivare perché eri occupato a contare i soldi in cassa.

Sono quasi certo che ti stai ponendo la classica domanda: “Come trovare clienti senza pubblicità?

Prenditi il tempo per leggere il post Vendere senza fare pubblicità. Si può?

3. Risorse limitate

Le piccole attività possono disporre di risorse limitate da investire nel marketing, questo può rendere difficile implementare di una strategia di marketing completa. In questi casi, la pubblicità può sembrare un’opzione più conveniente. Ma solo nel breve periodo. E non tutto l’anno e non per tutti settori. Non la panacea per tutti i mali, anche se la maggioranza la considera ancora “l’anima del commercio”. Come ho già scritto, puntare gli occhi sulla cassa e dimenticarsi di strategie come la fidelizzazione del cliente, potrebbe avere effetti imprevedibili, se il tuo obiettivo era solo fare pubblicità per vendere.

4. Esperienze precedenti

Chiudo con un tema scottante, forse quello che genera la conseguenze più devastanti non solo per le imprese. Soprattutto chi non dispone di budget consistenti come i piccoli imprenditori, potrebbe aver fatto esperienze negative con il marketing in passato, come campagne inefficaci o costi elevati, che possono portare a una mancanza di fiducia nel marketing nel suo complesso.

La faccio breve. Tutta la nostra conoscenza deriva da esperienze, quindi dal passato, da quello che è accaduto, da ciò che abbiamo imparato dai successi e dagli insuccessi. Da qui nasce la gran parte delle nostre scelte, in qualsiasi ambito, compreso quello lavorativo.

Quasi tutte le piccole attività hanno un punto debole che nell’analisi SWOT si chiama Weakness, debolezza: le risorse per fare quello che serve di più. Secondo me sono tre le cose che mancano a molte piccole attività e relativi imprenditori: conoscenza, tempo, denaro.

Senza denaro sei costretto a creare strategie di marketing “striminzite” che impiegheranno più tempo per funzionare (se funzioneranno) quindi punterai tutto sulla pubblicità usando l’approccio “Quando avrò risparmiato un po’ di soldi, inizierò a fare marketing come si deve”. Non succede quasi mai perché appena vedi che il marketing si mangia anche solo il 10% dei tuoi incassi, ti viene la gastrite. E il circolo vizioso ricomincia.

Senza conoscenza non vai da nessuna parte; se non sai come funziona il marketing non vedi neppure che ogni singola scelta che fai per la tua attività è una scelta di marketing. Se non ti accorgi dello stile comunicativo che usi nei video o nei materiali di marketing, se non vedi la differenza tra inviare il programma di un corso allegato alla mail e metterlo online dove si legge molto meglio, se non ti rendi conto che sono tutte scelte di marketing che influenzano il comportamento dei clienti, allora sei un caso disperato.

Devi dedicare una parte del tempo che passi in azienda a capire come funziona il marketing, a vederne gli effetti su tutta la vita aziendale, perfino nel rapporto tra le persone. Come leggerai nel post dove dimostro che si può vendere anche se fare pubblicità, il marketing è essenzialmente una mappa stradale che indica delle direzioni, ti aiuta a prendere le decisioni più opportune nei 4 settori fondamentali per ogni tipo di attività e impresa: stabilire il prodotto o servizio, decidere la politica dei prezzi, scegliere come distribuire cioè quali canali usare per vendere perciò anche la logistica e infine la promozione.

Tiriamo le somme

Questo post ti ha fatto riflettere? Mi auguro per te che qualcosa abbia accesso una lampadina anche perché il mio obiettivo è quello: accendere lampadine, offrire idee e consigli.

Non pretendo di insegnare niente a nessuno perché nessuno cambia per il solo fatto che qualcuno gli dice che gli conviene farlo. Quindi mi limito a offrire idee e consigli. Poi ognuno è libero di fare le sue scelte.

In conclusione, voglio ricordarti che mentre la pubblicità può essere un modo efficace per promuovere un prodotto o un servizio, non dovrebbe essere l’unico obiettivo degli sforzi di marketing di una piccola attività. Di nessuna attività, tantomeno per i professionisti e i lavoratori autonomi.

È una questione di grandezze: se l’attività è piccola, non ci sono collaboratori e le entrate dipendono da un solo prodotto o servizio o da poco altro, anche il piano di marketing deve essere adeguato al budget e agli obiettivi.

Questo deve essere messo nero su bianco e sempre chiaro, altrimenti si rischia di fare il passo più lungo della gamba appena entra qualche cliente nuovo oppure la concorrenza decide di non farsi vedere su Facebook per un po’.

È in queste situazioni che si deve lavorare di creatività e che contano esperienza, immaginazione, flessibilità e competenze allargate alle svariate opportunità offerte dalla comunicazione online e offline, dal marketing digitale ma anche da quello tradizionale.

In parole povere: quando mancano i denari si deve aguzzare l’ingegno.

Una strategia di marketing completa può aiutare una piccola impresa a costruire il proprio brand, trovarae clienti e fidelizzarli e, in ultima analisi, incrementare le vendite.

È come una maratona; non puoi credere di vincere fregando gli altri concorrenti perché hai trovato una scorciatoia e nessuno ti ha scoperto.

La pubblicità è la stessa cosa: non è una scorciatoia che puoi prendere per evitare di avere un piano di marketing completo.

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Marino Baccarini

Sono un consulente in Comunicazione Aziendale, Web marketing e Social Media Marketing.

Offro le mie competenze ad aziende e professionisti che desiderano creare relazioni con potenziali clienti per incrementare le vendite impiegando i mezzi della comunicazione crossmediale, il Web Marketing ed il Social Media Marketing.

Il mio interesse primario è diffondere la pratica della Mindfulness nelle aziende e invitare le imprese a trasformarsi in Aziende Socialmente Impegnate (non è la stessa cosa del protocollo CSR).

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