Ti fidi solo delle affermazioni di chi ha lauree, master e certificati nel curriculum? Se è così ti consiglio di usare il tuo tempo per leggere altro.
Se, invece, hai già letto qualcosa sul mio blog e sai che sto studiando Mindfulness da diversi anni, ho frequentato due volte il corso MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction), quello creato da Jon Kabat-Zinn e scrivo di meditazione, mindfulness in azienda e temi simili, allora leggi queste righe, scaturite da pensieri di una domenica mattina, in compagnia di Thich Nhat Hanh e della musica rilassante di Insight Timer.
Non aspettarti una definizione di felicità e neppure una “to do list” per trovare la felicità. Trovare la felicità è spiegato fra le righe di questo post che puoi leggere in breve tempo.
Perché è così difficile rendersi conto di ciò che c’è già?
Preferiamo andare alla ricerca di luoghi, cose, emozioni, sensazioni, nella speranza che una volta raggiunto il nostro obiettivo saremo felici, appagati, potremo dire a noi stessi “ce l’ho fatta”.
Una volta giunti a destinazione e sperimentate le sensazioni che “normalmente” proviamo in situazioni simili, si presentano due condizioni, o meglio, reagiamo in due modi: la prima reazioni è di insoddisfazione, immaginavamo di trovare altro. In realtà siamo delusi perché avevamo caricato la meta di aspettative eccessive, quindi è la nostra reazione che rende l’obiettivo diverso dalle nostre aspettative, non l’obiettivo stesso.
Quindi cadiamo preda di insoddisfazione e questo ci spinge a ricominciare la ricerca, a decidere di andare in altri luoghi o cercare altre cose, animati sempre dalle medesime aspettative disattese.
La seconda situazione che si presenta quando raggiungiamo una meta è di piacere e soddisfazione per ciò che abbiamo visto o sperimentato.
Siamo momentaneamente appagati dall’obiettivo raggiunto, abbiamo provato a noi stessi che potevamo raggiungere un determinato scopo e questo aumenta la nostra motivazione e rafforza la nostra identità, la storia che raccontiamo a noi stessi su chi siamo.
Tuttavia nel momento stesso che abbiamo raggiunto lo scopo prefisso ci domandiamo se non esista qualcosa di più bello, più emozionante, più difficile da raggiungere o realizzare.
Quindi ci poniamo nuovi obiettivi, decidiamo di visitare nuovi posti, spesso sempre più remoti o difficili da raggiungere; scegliamo di voler dimostrare a noi stessi che possiamo andare “oltre”.
Questo è un punto chiave che la mente collettiva sottolinea continuamente: andare oltre i propri limiti. Ovviamente, ciò presuppone che abbiamo dei limiti, mentre sul rovescio della medaglia c’è scritto “non hai limiti”. Contraddizioni della mente collettiva!
La meta più difficile da raggiungere è anche la più irraggiungibile, anche nelle relazioni personali ed in amore; esiste sempre la possibilità che qualcuno ci ami di più, che un’altra donna sia più bella della nostra compagna, eccitante ed intelligente o che ci siano uomini più belli, più ricchi, più carismatici.
All’orizzonte c’è sempre qualcosa migliore di ciò che abbiamo, ma l’orizzonte non esiste, la terra è rotonda e non importa quanto camminiamo, non raggiungeremo mai il punto in cui il sole sorge o tramonta, dove l’arcobaleno nasce o dove sfiora la terra.
La meta più difficile da raggiungere non è la vetta della montagna più alta, ma il punto più profondo dentro noi stessi, dove dimora ciò che esiste già e che dobbiamo solo incontrare e riconoscere.
Lì, nel punto, solo in apparenza, più nascosto si trova la risposta ad ogni domanda, la meta più difficile fra tutte le mete: il nostro “io”.
Ma solo in apparenza è la meta più lontana, più difficile da raggiungere; infatti per essere raggiunta essa ci chiede solo di essere riconosciuta. Il viaggio più emozionante che l’uomo possa fare è quello che porta alla consapevolezza di ciò che c’è già. In questo posto, in questo momento, fuori dal tempo e dal mondo delle forme tangibili.
Perché, come dice il piccolo principe, l’essenziale è invisibile agli occhi.
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